Secondo gli esperti, i social network creano dipendenza, ma la colpa non è di chi ne fa uso: le piattaforme infatti mettono in atto le stesse tecniche delle società di gambling, creando una sorta di dipendenza psicologica negli utenti che li porta a non riuscire a staccarsi dai social per più di una manciata di minuti.
Secondo Tristan Harris, imprenditore ed esperto di etica della persuasione che prestò servizio anche per Google, il meccanismo di scorrimento verso l’alto per aggiornare la home e ottenere contenuti sempre nuovi ricorda decisamente quello delle slot machine, in cui basta tirare una leva per avere risultati sempre diversi, nella speranza di ottenere una ricca vincita.
Nelle piattaforme come Facebook, o Instagram, la speranza invece è trovare un qualcosa di interessante o delle vere e proprie ricompense, che in termini social non sono altro che notifiche di like o messaggi.
La totalità dei contenuti condivisi sono immagini e brevi frasi che impiegano all’utente davvero pochi secondi, ma poiché questo meccanismo cattura la sua totale attenzione, ciò che ne segue è che le persone finiscono per stare addirittura ore incollate davanti allo schermo, scorrendo i feed, tra like e commenti.
Insomma, i social media sanno bene come ricompensare i propri utenti, in modo da attirare costantemente la loro attenzione e far sì che ciò diventi una vera e propria routine, tanto da non poter più fare a meno di controllare lo schermo del telefono a intervalli più o meno regolari.
La sensazione che gli utenti provano è quella di relax, perché accedere ai social equivale a un momento di pausa in cui staccare la spina dal lavoro, dallo studio o dai pensieri in generale. Una sorta di evasione dalla realtà quotidiana, un po’ come avviene per gli amanti del gioco, che non vedono l’ora della prossima partita a poker online gratis per staccare e divertirsi.
Stando a ciò, la domanda sorge spontanea. Secondo uno studio di Digital 2019, in Italia le persone trascorrono più di 6 ore collegate a Internet (in periodo pre-Covid). Di questo tempo trascorso in rete, gli utenti che abitualmente affollano i social vi trascorrono in media più di 2 ore al giorno, ma c’è un buon 20% che riesce a stare incollato allo schermo anche oltre quattro ore.
Certamente tutto questo tempo viene distribuito nell’arco di tutta la giornata, per questo la maggior parte non se ne accorge nemmeno.
È stato però stimato che orientativamente si sblocca il telefono per accedere ai social dalle 47 fino alle 80 volte al giorno. Ciò significa che in media le persone non resistono più di un quarto d’ora circa dall’attivare lo schermo dello smartphone per sbirciare il proprio social preferito.
Certamente i grandi colossi come Twitter, Facebook e Instagram ne sono al corrente, avendo loro stessi sviluppato dei meccanismi in grado di scatenare quella che sembra a tutti gli effetti una dipendenza. E tra gli strumenti apparentemente più innocenti, c’è proprio il “like”.
Secondo Mark Griffiths, professore di Dipendenza Comportamentale alla Nottingham Trent University, ricevere un like o anche solamente la possibilità che ciò avvenga, stimola la produzione di dopamina ed è per questo che per aziende come Facebook o Instagram, questa semplice opzione è in realtà un potente strumento che porta gli utenti ad accedere continuamente ai social per controllare lo stato delle notifiche.
A livello psicologico invece, questo meccanismo porta l’utente a sviluppare un forte desiderio di conferme. Da qui, l’importanza del numero dei followers o dei like ricevuti sotto ad esempio ai propri contenuti Instagram.
Se quindi l’utente non ha colpa, ma sono i social ad essere progettati per scatenare questo fenomeno, qual è la soluzione?
Sicuramente uno strumento utile implementato ad esempio su Instagram è il monitoraggio della propria attività in app, con la possibilità di impostare anche un promemoria giornaliero che avverte quando è stato raggiunto il tempo impostato. Altra opzione utile è la possibilità di disattivare le notifiche push, da un minimo di 15 minuti fino a un massimo di 8 ore.
Soluzioni, insomma, che non incentivano l’accesso ai social e sottolineano l’importanza della “giusta misura delle cose”.
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